La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10947/2024 ha chiarito che l’avviso di accertamento emesso in rettifica, che annulla parzialmente il precedente accertamento a seguito di richiesta di autotutela del contribuente, avente una portata riduttiva della pretesa impositiva, non è impugnabile, in quanto non modifica nulla rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento.
Nel caso in cui il Comune avesse invece modificato il precedente avviso di accertamento con conseguente aumento della pretesa impositiva ovvero introducendo nuovi cespiti imponibili, l’atto deve considerarsi come una nuova pretesa, anche se parzialmente. Ne deriva che la stessa deve essere avanzata al contribuente nei termini di decadenza (ordinariamente il 31/12 del quinto anno successivo a quello di scadenza del termine del pagamento o per la presentazione della dichiarazione) e il nuovo atto costituisce, quantomeno per la parte ampliativa, un atto impugnabile dal contribuente.
La Corte di Cassazione infatti, con la sentenza n. 7511 del 15/04/2016 e l’ordinanza n. 29595 del 16/11/2018, ritiene ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa.
Altro discorso riguarda invece il caso in cui la rettifica riduce la portata impositiva del precedente avviso ma cambiando l’oggetto del medesimo per esempio in un avviso TARI o IMU introducendo un nuovo immobile nel calcolo del tributo. In tal caso la pretesa relativa alla unità immobiliare aggiunta deve ritenersi nuova e come tale deve essere notificata nei termini di decadenza e sarà pertanto impugnabile dal contribuente.